martedì 1 febbraio 2011

artrite















capita di fermarmi a parlare con gli anziani del luogo e il più delle volte a subirne volontariamente i racconti, i ricordi e, grazie ad una scenografia complice, al muretto di pietra su cui si ci appoggia, ai gradini assediati dal muschio o alle ardesie grigie e sbeccate, ad intuirne l'immagine che si portano appresso.
Ascolto senza fretta ripercorrere con la memoria antiche fatiche di adulti invecchiati dal lavoro, osservati da un'infanzia in bianco e nero cresciuta tra l'umidità pregnante del torrente che ammuffiva gli scuri mobili di casa e il freddo mitigato da una stufa a carbone, guardo scuotere la testa e far gesti quasi a maledire il luogo che ha costretto madri e nonne piegate sulle lastre di pietra nel Rio a lavar lenzuola altrui, e l'artrite che ha loro deformato le mani, e a volte il carattere. E tutto solo per vivere. E ogni tanto scendere a Genova.
La guerra, le bombe e la ricostruzione visti come una liberazione, l'emancipazione da quel malsano ambiente, da quella vita umida.

Pare che questo vissuto abbia profondamente segnato una generazione, che ora istintivamente osteggia e vede come insensato qualunque recupero abitativo o tutela paesaggistica, dell'esistente sopravvissuto lungo le strette buie valli e sulle scomode colline. Questo sentimento, tra il rancore verso il passato e una cupa nostalgia di esso, ha fatto da substrato, da fertile ed ingenuo terreno sul quale ha attecchito da sempre la rapallizzazione del nostro territorio prospettando moderni agi e comodità tali da scordarsi gli antichi stenti!
Ad oggi dai più il risultato ottenuto viene ancora percepito come comunque positivo, tanto da rilanciare il businnes e riempire in un paio d'anni ogni spazio ancora libero con silos, box auto e nuove carrozzabili per arrivare sotto casa con l'auto e perpetuare l'idea che per rendere vivibili le colline bisogna cementarle e asfaltarle...
ingrassando gli speculatori e nel contempo mantenendo il consenso popolare, incredibile!

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