martedì 10 marzo 2009
Quezzi , l'ultima diga.
Al termine di Via Mulinetto parte ripida una crousa sulla sponda sinistra della valle, la si percorre sino a raggiunger e superare le ultime case dove il sentiero s'incontra con il Rio Mulinetto nella sua selvatica e fragile integrità. Se lo si vuol risalire è possibile farlo anche sino alle sorgenti ma si è costretti a camminar lungo il tortuoso corso d'acqua ed ad incontrare i numerosi laghetti naturali, differenti tra loro come conformazione e dimensioni, dove la tentazione di tuffarsi nelle gelide trasparenti acque è davvero irresistibile.
Questo dev'esser stato lo sprone che portò alcuni giovani di un'epoca scomparsa ad approntare una discreta diga di contenimento per creare così una vera e propria piscina naturale, le cui dimensioni dovevano andare dai quattro metri di larghezza sei metri di lunghezza e una profondità massima vicina ai tre metri; lo si deduce dai resti, dalle visibili tracce rimaste a testimonianza trattenendo ancora un po' il torrente a creare una di quelle "fresche pozze dove s'incontran sparute anguille" per citar Montale.
Il muretto ancora accennato è ripreso nella prima foto e le dimensioni dell'invaso si possono immaginare guardando la seconda foto, e nonostante si sia notevolmente ridotto è ancora estremamente piacevole e tonificante immergersi ed attraversarlo con due bracciate, nelle stagione adatta ovviamente.
Il periodo in cui la diga è stata edificata per la prima volta si perde nella memoria dei paesani più anziani, qualcuno lo colloca negli anni cinquanta, quando ancora il Rio veniva usato dalle Lavandaie, le ultime "fasce" in fondo alla valle sotto il Forte Ratti venivan ancora coltivate a patate ed i ragazzi del posto raramente scendevano in città lungo l'unica strada, dovendosi così svagare con le risorse del posto, i laghetti dovevan esser un 'Parco Giochi' naturale.
Dobbiamo però arrivare agli anni settanta inoltrati per trovare testimonianze attendibili su quella che si può definire la ristrutturazione storica della diga; alcuni ragazzi aiutati dai fratelli maggiori decisero di deviare il Rio e con cemento e pietre ripristinare il manufatto, godendone, loro e molti altri, per anni e anni ancora,,,, si racconta di mitici campeggi dei primi gruppi di figli dei fiori e di amori sbocciati all'ombra dei corbezzoli, di gite con chitarra e salamini e di solitarie meditazioni seduti sull'assolata scogliera.
IL lago ha anche un suo proprio nome, come del resto ogni singola pozza della valle, credo che questo sia il "Lago del Bò", ma potrei sbagliarmi con il "TreSò" o con il"Chin nà", certo non è il "Gallo" giacchè questo è il primo e ne ho la certezza.
Qualche "foresto" a volte capita per questi paraggi spinto magari dalla ricerca di funghi o d'asparagi e si meraviglia di questo tesoro nascosto in un angolo non troppo assolato del nostro territorio....<www.funghiitaliani.it/index.php?showtopic=38947htt"> ad esempio.
Il Rio racconta molte delle storie accadute nel tempo, con le sue pietre e le sue sponde, col suo correre sotto i ponti fino a mescolarsi con le acque altrettanto "serveghe" del Finocchiara,,, ma qui siam già in Pedegoli e questa, come si dice, è un'altra storia....
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